Qualche mese fa, a Roma è morto un personaggio storico del
palinsesto urbano che a tanti non dirà un bel niente ma a me viene
sempre un altro, piccolo dolore intercostale quando sento nominare
Massimiliano Carrisi.
Nonostante il cognome infausto, Massimiliano era un uomo
appartenente ad una pregiata categoria in via d’estinzione.
Il suo era uno dei classici lavori di cui oggi, nessuno si fa un cazzo: era
un artista di strada ed andava, appunto, per le strade di Roma, vestito
come i dipinti ci dicono si vestisse Dante: con una tunica di lana rossa
e la corona di alloro in testa.
Il Carrisi da Roma girava le vie del centro, fermandosi davanti ai tavoli
esterni dei ristoranti, ai quali poi si avvicinava con discrezione.
Educato ma inflessibile, iniziava a peregrinare di tavolo in tavolo,
improvvisando versi personalizzati in base a chi avesse davanti, in
perfetta metrica e con una ricerca squisita di terminologia aulica.
Non potevi sottrarti.
Quella poesia regalata, in mezzo alle più sgraziate trattorie, risuonava
come un miraggio, come un’arpa che invano cerca di redimere gli empi
che oggi poi sarebbero quelli vanno al sabato pomeriggio da Foot
Locker e ascoltano le hit, per intenderci, ma non solo.
La maggior parte della gente non se lo inculava miseramente,
Massimiliano.
Qualcuno aveva pazienza, altri si lasciavano coinvolgere ma pochi
perché in città ti vergogni a farti vedere che dai retta ad uno che
chiede elemosina, qualsiasi sia il metodo con cui te la chiede.
Anche Dante quello vero, quando s’incamminò lungo i crinali
dell’Appennino dev’essere arrivato al punto di dover chiedere
elemosina ma, a differenza di Massimiliano, Dante vero pare avesse gli
amici giusti che tuttavia non gli garantirono mai grandi agi, forse
perché gli agi, gli artisti ce li hanno sempre e solo da morti schiattati.
Se per caso nascono fra gli agi, gli artisti veri li rifuggono
dispregiandoli, come sempre tentò di fare Leopardi, ad esempio, suo
malgrado.
Il comun denominatore dei geni delle lettere e delle arti figurative è
quello di rasentare la morte di fame o di farne comunque una
egualmente schifosa, per poi vedere il frutto del proprio lavoro
riempito di corone e busti, una volta seccati.
Forse certe altezze artistiche si toccano solo se la vita personale
mantiene costante la linea fra disperazione e pathos ma soprattutto se
le temperature d’inquietudine ed irrequietezza sono altissime.
A questa ricetta si aggiunga poi la patria natia che disconosce con
totale irriconoscenza, i propri figli ed ecco i sommi!
Così Dante, proprio come, nel suo piccolo, il mio Dante romano,
s’incamminò lungo percorsi non proprio comodi: l’Appennino
d’altronde è faticoso anche oggi, proprio come Roma.
La ricerca dell’impervio irrigidisce naturalmente la scocca umana e la
protegge dal vizio.
Perciò le rockstar hanno poco a che fare con l’arte.
Fosse nato oggi e fosse nato socialmente prostrato, Dante molto
probabilmente si sarebbe drogato di cose pessime e mal tagliate,
avrebbe fatto un paio di dischi folk e un paio di ospitate in riviera
romagnola ma niente più poiché oggi, il vizio è il presupposto per non
raggiungere le altezze, né come artista né come pubblico.
O forse, ancor peggio, fosse nato oggi e senza gli amici giusti, Dante
sarebbe passato come Massimiliano Carrisi, come un fantasma, nelle
piazze di una grande città, scambiato per un buffone underground,
ridicolizzato da una massa descolarizzata, non pronta, avvelenata.
Invece Dante ha avuto dalla sua parte l’Appennino che accoglie
sempre, senza distinzioni, tutti quelli che ne sono misticamente
preparati.
Sull’Appennino ti sloghi le caviglie, ti viene la cervicale, mangi pesante
e spesso tremi, sia per il freddo che per il terremoto ma le cose
preziose vengono naturalmente protette.
Si forma una specie di filtro solare nei boschi come nell’ intelletto.
La povertà intesa come sinonimo di purezza, l’attrazione per le cose
antiche, per i nascondigli naturali e per l’essenziale, fino ad oggi hanno
salvato il nostro patrimonio, sotto tutte le sue declinazioni:
l’Appennino ha salvato la storia italiana, le sue arti e con lor Dante che
però poi è sceso in pianura e si è beccato la malaria per compiere il
leggendario destino di una morte schifosa che aspetta solo la gente
davvero amica delle muse.
A questo punto, si dovrà capire se possiamo ritenerci fortunati o
miserabili.
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